sabato 26 giugno 2010

La morte verrà. Testo...Leandro.Loy...copyright.


La morte vi racchiude con le proprie spire di maggiore entità in vita, di quanto ella possa ridonarvi nell'oblio.

giovedì 10 giugno 2010

Il silenzio.

Il silenzio è un flusso interiore che pulsa di esistente, è una parola mai dichiarata...sottaciuta per sempre, è una sensazione velata che racconta nel tuo animo di essere anche tu elemento di vita. Il silenzio è la nostra esistenza nascosta, che si confida con noi.

lunedì 7 giugno 2010

Condivisione di un'amore.

Io, che ricerco il colore dei tuoi occhi riassorbiti dalla luce, mentre in me alberga ancora notte.

domenica 6 giugno 2010

L'attimo.

Riflessione.

La frazione di casupole rurali di S Maria delle mole, con il passare degli anni si era modificata ad una piccola cittadina di provincia, con i suoi negozi ed ipermercati provvisti d’ogni ricercata mercanzia. I suoi abitanti seguivano la moda del secolo, comprando tutto ciò che il lusso e lo sperpero poteva offrire loro. La ricercatezza nel vestire e l’apparenza esteriore erano prassi comune, e persino la rappresentazione sociale della ricchezza e dell’opulenza ad ogni costo ne erano i sacri crismi. Delle auto di grossa cilindrata percorrevano le piccole strade dissestate della cittadina, ed i cellulari di ultimissima generazione squillavano in ogni angolo di strada e dentro ogni abitazione. I televisori con lo schermo gigante al plasma, oramai giacevano negli angoli di qualsiasi casa pur di modesta entità economica. Il simbolo del benessere e della voluttuosità diveniva l’unico modello economico cui ispirarsi. La globalizzazione e la modernità erano inesorabilmente piombata sopra l’esistenza semplice e tranquilla dei paesani, dentro i loro piccoli appezzamenti di terra non coltivata, e nel proprio rintocco di campane elettroniche che segnavano dall’alba al tramonto il termine di una frenetica giornata lavorativa.

Soltanto nelle memorie dei suoi concittadini più anziani, ancora riecheggiava l’urlo del vento che senza alcun contrasto di cemento percorreva e piegava gli alberi ed i filari di vitigni, e frusciava a formare come onde le spighe di grano già alte per l’inizio dell’estate. Tutto rientrava nella norma, pensò Don Bruno, mentre s’accingeva a salire i gradini della sua piccola chiesa per mettere in ordine le proprie immediatezze e celebrare da lì a poco la Santa Messa. I pochi fedeli più solerti, già s’erano seduti e sparpagliati tra le panche, ed in silenzio raccoglievano le proprie anime a Dio.

Una vecchietta molto anziana teneva tra le sue mani una corona d’ossi essiccati d’ulivo, e lo passava lentamente tra le sue dita, ad uno ad uno.

Le labbra dell’anziana donna di tanto in tanto bisbigliavano in un dialetto arcaico alcune frasi, tanto che persino a me che ero a pochi passi da lei m’arrivava soltanto un flebile strascico di parole incomprensibili. Ero eretto in piedi al centro dell’unica navata della piccola chiesa, e soltanto lo scricchiolare del legno delle panche sotto la pressione del peso dei fedeli scandiva in quel momento il decoroso silenzio nell’attesa. La luce del sole filtrava soffusa e discreta dalle grandi finestre di vetro dipinto, ed emanava all’interno della navata un chiarore multicolore innaturale, quasi mistico. Nei due lati all’altare, due alti candelabri riflettevano la luce di dodici candele ciascuno, che oscillando di contrasto alla flebile corrente d’aria proveniente dalla porta laterale, ondulavano a tratti come se rispondessero silenti a dei comandi telepatici ed innaturali. La mia mente d’improvviso paragonò quelle piccole fiamme, all’animo umano, così precario ed incerto verso il vento esistenziale. I pochi fedeli che in quel momento attendevano in silenzio l’inizio della S. Messa, m’apparvero come poveri bisognosi in cerca di un poco di refrigerio per il proprio animo e, nel bisogno loro impellente di silenzio, la rimozione dei loro peccati verso la propria coscienza. Persino Don Bruno che s’era apprestato al centro del l’altare, dovette accorgersi di quella strana atmosfera, tanto che appariva anche egli smarrito dentro un’estasi interiore.
Il sacerdote stava in piedi al centro del l’altare, e guardava fissando insistentemente d’ognuno degli astanti il viso, mentre anche lui nel suo volto rapito e distratto dimostrava una propria interiore percezione. Gli occhi smarriti dei fedeli, dal loro di dentro emaciati
emanavano una luce mite di speranza. Ognuno nella propria interiorità coscienziale s’era appagato in quell’istante, come nel proprio bene e nel male, nella propria gioia oppure nel proprio dolore o rimorso, della vera comprensione di se stesso. Il rumore tenue del corollario passato tra le vizze ed ossute dita dell’anziana, irrompeva a tratti quel lungo silenzio. Stavo di lato seminascosto in piedi nell’ombra, a captare ciò che poi è, nell’essere umano prerogativa d’infinitamente nascosto, sottaciuto, per una propria innegabile necessità. In quella mattina era l’indefinita essenza dell’essere uomo che carpiva la mia attenzione, e che colpiva la mia immaginazione.
Era il silente tumulto dell’animo umano che come fosse un fiume in piena, al fine tracima a fecondare la terra. Erano gli occhi sperduti di un uomo, che cerca di carpire i segreti di ciò che è dell’infinito, pur facendone anche egli parte infinitesimale.
Don Bruno, s’era smarrito in se stesso, e i suoi occhi parevano voler celebrare ancor di più l’indulgenza, per non voler accennare ad un ritorno reale.
Soltanto le strascicate parole incomprensibili della donna più senile si amplificavano a tratti nella navata, come fossero profezie di altri tempi, oppure un proprio canto in una lingua che soltanto ad un Dio è dato perce-pire.
Due suoni di un clacson irruppero definitivamente il silenzio, segni della fretta e dell’impazienza che fuori dalle mura della chiesa si celebrava quotidianamente.
Alcuni ragazzi schiamazzarono a voce molto alta avanti alla chiesa, mentre in lontananza si udì dirompente il rombo di un aereo che sorvolava a bassa quota il cielo nitido sopra la cittadina.
Don Bruno si destò dal proprio soliloquio, e dovette percepire come un segno del destino quell’improvviso e molesto rumore, tanto che iniziò a celebrare la sua messa con voce composta e sicura.
In quanto a me arretrai con reverenza guadagnando l’uscita della piccola chiesa, e scendendo i pochi gradini con passo lento, mi trovai nuovamente nella strada.
Un rumore assordante m’avvolse e ovattò nuovamente i miei sensi, e nella frenetica pazzia quotidiana mi distrassi nuovamente... dal pensare.
                                                                                                                                        Leandro Loy